Il patrimonio genetico del cane ha subito alcuni seri cambiamenti anche a causa dello sviluppo dell’agricoltura, come ha confermato uno studio pubblicato su Open Space della Royal Society di Londra, condotto da ricercatori delle Università di Rennes e di Grenoble, del CNRS di Lione, in Francia, e dell’Università di Uppsala, in Svezia, che hanno ricostruito l’evoluzione della capacità dei cani moderni di digerire gli amidi.
A differenza di studi effettuati in precedenza, che comunque avevano già individuato questa tendenza, la ricerca condotta da Morgane Ollivier e il suo entourage ha operato estraendo il DNA antico da campioni di ossa e denti dei resti di 13 antichi lupi e cani provenienti da siti archeologici sparsi in tutta l’Eurasia e risalenti a epoche diverse.
Il risultato è stato piuttosto complesso: i campioni attribuibili a cani risalenti a oltre 8000 anni fa avevano solo due copie del gene, quelli di 5000 anni fa o meno ne avevano tutti come minimo 7 o 8, mentre quelli del periodo intermedio spaziavano dai 2 ai 7 a seconda dei siti di provenienza dei campioni, senza una chiara progressione cronologica.
Ma se si considera l’epoca di introduzione dell’agricoltura nelle diverse regioni, la mappa dell’espansione dell’agricoltura in Eurasia e quella dell’amplificazione del gene Amy2B mostrano un’ottima sovrapposizione.
L’agricoltura ha cambiato la dieta degli esseri umani e, di conseguenza, anche quella dei cani, favorendo la diffusione tra loro della moltiplicazione del gene Amy2B.
Non a caso, osservano i ricercatori, le uniche due razze di cani che hanno ancora due sole copie del gene Amy2B sono gli husky siberiani e i dingo, che hanno vissuto con popolazioni che fino a tempi molto recenti avevano una dieta basata prevalentemente su prodotti della pesca o della caccia.
Vera MORETTI
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