Nessuna pena per il padrone di due cani che venivano addestrati con il collare elettronico comandato a distanza.
L’utilizzo di questo collare, come è stato confermato dalla sentenza della Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione del 25 maggio 2016, n. 21932, non comporta sevizie nei confronti dell’animale ma solo un’emissione di impulsi di brevissima durata, e di energia considerata trascurabile.
Il caso era stato preso in esame perché il proprietario dei cani utilizzava il collare abitualmente, per richiamarli quando si allontanavano ma anche come addestramento.
Se si fosse trattato di collare antiabbaio, ci sarebbero stati i presupposti per il reato di maltrattamento di animali ma, trattandosi invece di collare per addestramento, rientra solo nella contravvenzione di abbandono di animali.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, l’abuso nell’uso del collare coercitivo di tipo elettrico “antiabbaio” integra il reato di maltrattamento di animali, atteso che ogni comportamento produttivo nell’animale di sofferenze che non trovino adeguata giustificazione costituisce incrudelimento rilevante ai fini della configurabilità del citato delitto contro il sentimento degli animali.
“L’utilizzo del collare elettronico che produce scosse o altri impulsi elettrici trasmessi al cane tramite comando a distanza si concretizza in una forma di addestramento fondata esclusivamente su uno stimolo doloroso tale da incidere sensibilmente sull’integrità psicofisica dell’animale. Si tratta di una differenza non trascurabile, posto che con il reato di maltrattamento si punisce chi dolosamente, con crudeltà o senza necessità, cagioni una lesione all’animale o lo sottoponga a sevizie o comportamenti o fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche, mentre la fattispecie contravvenzionale punisce chi detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze”.
Vera MORETTI
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