Il problema del randagismo in India sta raggiungendo numeri spaventosi. Si stima che i cani randagi siano oltre 30 milioni. Questo anche a causa dell’enorme facilità con cui è possibile trovare cibo tra le montagne di rifiuti che si accatastano lungo le strade dell’intero Paese.
Per combattere questo fenomeno in diverse città indiane, soprattutto dello stato meridionale del Kerala, si è assistito a veri e propri sterminii di massa.
Scosse elettriche, iniezioni di cianuro, fucilazioni, queste le “soluzioni” che il civile popolo indiano ha deciso di adottare per una soluzione “fai da te”.
In risposta al dilagare di questi episodi, la Corte Suprema Indiana ha stabilito il diritto alla vita dei cani randagi. La loro soppressione potrà avvenire solo se dovessero costituire una reale minaccia per l’uomo.
Questa sentenza è stata emanata in risposta alle numerose petizioni promosse in tutto il Paese affinché si procedesse a una soluzione definitiva di hitleriana memoria che portasse al totale sterminio di tutti i cani randagi presenti sul territorio nazionale. Il paragone è volutamente forte, per sottolineare la crudeltà di una simile azione e la barbarie a cui si sta cercando di porre un freno.
A rappresentare l’atteggiamento della popolazione indiana su questo tema è il commento di “scarsa capacità di giudizio” con cui è stata da più parti del Paese apostrofata la decisione della Suprema Corte.
Contro questo stato di cose si battono da anni diverse associazioni che hanno dato vita al movimento Boycott Kerala con l’obiettivo, in parte raggiunto, di boicottare l’industria del turismo di questa parte del Paese.
Questo purtroppo non frenerà il ripetersi di atti di violenza contro poveri cani, colpevoli solo di essere nati in un mondo che non dà alcun valore alle loro vite.
Dal canto nostro, quello che possiamo fare, è dare spazio a questo dramma, convinti che se sempre più numerose, saranno le voci che si leveranno contro questo massacro, maggiori saranno le possibilità di porvi un freno.
Ottavio Bardari
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