L’avvicinarsi del Festival di Yulin, che ha come protagonista assoluta la carne di cane, fa riemergere un problema ancora lontano dall’essere risolto, ovvero l’uccisione, soprattutto nei Paesi orientali, di migliaia di cani, sacrificati proprio per nutrire il mercato della carne di cane.
Gli animali vengono non solo prelevati dalla strada, ma anche rubati ai loro legittimi proprietari e, una volta catturati, tenuti in gabbie sporche e anguste in attesa del sacrificio finale.
Mentre Taiwan e le Filippine hanno introdotto severi divieti per arginare e bloccare questa crudele e sadica pratica, l’usanza è ancora diffusa in Cina, ma anche in Corea del Sud e in Vietnam.
Ora che il Festival di Yulin, previsto per il prossimo 21 giugno, si avvicina, se ne parla in modo molto più diffuso, ma c’è chi mette in guardia anche verso un altro evento ormai vicino, ovvero i XXIII giochi olimpici invernali di Pyeongchang.
Per capire l’entità del problema, è bene sapere che in Asia, ogni anno, vengono uccisi 30 milioni di cani, e sette su dieci vengono sottratti alle famiglie. Non ha importanza la razza o la stazza, qualunque sia rappresenta comunque un piatto prelibato per l’80% dei vietnamiti e il 60% dei coreani.
La tortura prima della lavorazione è un metodo consigliato per preservare le presunte proprietà energetiche della carne. Che nell’immaginario di questa gente porta felicità.
Ma non si tratta solo di salvare i cani da una morte ingiusta e atroce, perché chi mangia carne di cane rischia di prendere la rabbia. A dimostrarlo sono le statistiche: la Cina è il secondo Paese al mondo per incidenza della malattia tra gli umani.
La buona notizia è che le nuove generazioni sono più sensibili a questa situazione, mentre la mentalità degli anziani rimane radicata a questo tipo di tradizioni. Ma, ancora una volta, lo zoccolo duro rimane quello economico: finché la carne di cane verrà considerata pregiata, questa pratica sarà dura a morire.
Vera MORETTI
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