Quando si divorzia, oltre ai tanti sentimenti contrastanti che si provano, occorre mettere alla prova il proprio equilibrio e, con senso pratico, per quanto se ne possa avere in questi casi, suddividersi tutti i beni e, ahimè, quando ci sono, anche gli animali domestici.
Ma come funziona? Generalmente, accade come quando si separa una coppia con figli, o almeno dovrebbe: i bambini dopo il divorzio rimangono con un genitore, possibilmente nella loro casa, per evitare eccessivi stravolgimenti, oltre a quelli necessari, mentre quello che deve lasciare il tetto coniugale deve poter usufruire di giorni di visita e di tempo da trascorrere con i minori.
Ma anche i cani soffrono se uno dei loro padroni si allontana e, quindi, anche loro dovrebbero poter avere il diritto di continuare a frequentarli entrambi. L’ansia da separazione e il trauma del distacco, infatti, assale anche loro, e potrebbe manifestarsi con l’acuirsi di alcune cattive abitudini. Una maggiore distruttività, o un aumento degli “ululati”, nonché un comportamento meno controllabile e più nervoso sono in genere i sintomi comuni dovuti alla separazione dal loro padrone.
Ormai, nelle cause di divorzio che vedono coinvolti anche animali domestici, sono previste norme che regolano la “spartizione” del tempo da trascorrere con loro, anche quando uno dei due coniugi si è trasferito.
I casi che si manifestano sono molteplici: a volte il cane è affezionato ad entrambi i padroni, altre volte maggiormente ad uno solo, e in altri casi hanno affetto soprattutto per i figli. Qualunque sia il caso in questione, è bene non usare il cane come oggetto di vendetta o addirittura come merce di scambio nella causa di divorzio.
Il livore e la rabbia che possono portare ad una separazione rischiano di degenerare e di coinvolgere chi non ha colpe, tirando fuori il peggio da entrambe le parti.
Per questo motivo, quando si avviano le pratiche di divorzio, bisognerebbe disquisire non solo dell’interesse del minore ma anche dell’interesse dell’animale.
Vera MORETTI
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